Intervista: La Molleindustria

11/09/2005

di Pierluigi Casolari
Intervista: La Molleindustria
Giornalismo, ideologia, informazione e attivismo politico stanno entrando potentemente nel linguaggio e negli obiettivi dell'universo videoludico. Una nuova generazione di game designer, ormai da qualche anno, sta tracciando le linee per un utilizzo serio, politico, impegnato dei videogiochi. Andando al di là del dictat dell'intrattenimento, del divertimento e dell'eccitazione sensoriale.
Il collettivo italiano Molleindustria è all'avanguardia in questo filone di ricerca. Sviluppa flash games ironici e satirici simili a vignette interattive che centrano tematiche di attualità, in particolare relative al mondo del lavoro, della morale, dei tabù sessuali.
L'idea del collettivo è quella di utilizzare il videogioco come nuovo strumento di satira e di riflessione parodistica della realtà e attuare attraverso di esso una sorta di controinformazione virale. Oltre alla realizzazione di videogiochi, Molleindustria si distingue per l'attività di riflessione teorica. Ci sono alcuni elementi che vengono prepotentemente fuori tanto nell'attività di game design quanto in quella intellettuale. In primo luogo l'idea del videogioco come mezzo in senso Mchluhaniano. Cioè come mezzo che ingloba una determinata visione del mondo. Questa, secondo Molleindustria, è da rintracciare nel gameplay, cioè in quell'insieme di istruzioni, regole, meccanismi che definiscono l'incontro tra il giocatore e la macchina. E' dunque in quel punto che occorre intervenire per ribaltare i significati consolidati del mezzo videoludico e farne un uso innovativo. Va da sè di conseguenza che Molleindustria rigetta tutta la pratica dei mods grafici e relativi all'apparenza dei personaggi.
Un altro punto importante trattato da Molleindustria è una riflessione sulle reali possibilità ed efficacia di interventi di attivismo videoludico. Una pratica che si sta diffondendo su tutto il web ma che deve ancora dimostrare, almeno in parte, la sua reale capacità di inlfuenza il corso delle cose. Li abbiamo incontrati e ne abbiamo parlato

Sempre di più il videogioco viene pensato come uno strumento aperto. Aumentano di conseguenza i suoi possibili usi, le sue applicazioni. Una delle ultime frontiere è il giornalismo videoludico. Quali potrebbero essere le prospettive di questo nuovo tipo di informazione?

L'informazione è una categoria che va sfumando a causa della convergenza dei settori dell'industria culturale. Questi sono anni di grandi fusioni tra servizi di connettività, produzione di contenuti, televisioni e giornalismo. Tutto questo avviene senza suscitare problemi di legittimità perchè l'alleanza tra grande capitale e governi è totale.
I videogiochi sono completamente dentro questi processi. Perciò credo che in futuro vedremo sempre più spesso sconfinamenti di campo. Già adesso è difficile dire se titoli come Kumawar sono giornalismo, intrattenimento o propaganda governativa. Tutto questo potrebbe scandalizzare chi continua a pensare con le vecchie categorie. Ma scandalizzarsi ed invocare il ritorno del vero giornalismo non servirà a molto. La soluzione è, secondo noi, iniziare a considerare tutta la produzione di senso (cioè la produzione di cultura) come un campo di battaglia in cui si scontrano (in uno scontro produttivo) opinioni, ideologie e visioni diverse.

Anche I videogiochi di Molleindustria simulano situazioni sociali legate alla cronaca, all'attualità. Tuttavia rispetto ad altri prodotti con lo stesso intento, penso a JFK Reloaded, Kumawar, America's Army non ricercano il fotorealismo, l'high definition, il coinvolgimento ipnotico del giocatore. Non credete però che la scelta di un'estetica lo-fi possa essere un deterrente per il giocatore, una sorta di invito a non giocare, oppure a non prendere sul serio il videogioco?

Finora abbiamo più che altro realizzato dei piccoli esperimenti sul linguaggio dei videogiochi in cui la giocabilità non era l'obbiettivo principale.
In realtà a noi non interessa che il giocatore rigiochi all'infinito con i nostri titoli: il procedimento ironico e decostruttivo si svela al giocatore dopo poche partite ed è probabile che poi egli non abbia più motivi per riprenderlo in mano. Ciò non è un problema, il nostro obbiettivo è dare qualche spunto critico, non tenere le persone incollate agli schermi (anche se in alcuni casi, tipo col papa parolibero, questo è successo). Dopodichè non bisogna confondere il mito dell'immersione con la capacità di coinvoglimento. Da una decina d'anni il principale obbiettivo di una grossa fetta di videogames commerciali è stato quello di creare un ambiente immersivo di tipo illusionistico, spingendo al massimo l'accuratezza della grafica e della fisica dei corpi. In realtà come spiegano bene Salen e Zimmerman in Rules of Play non si può cercare un equivalente videoludico della sospensione dell'incredulità cinematografica perchè il gioco implica un continuo oscillare fra uno stato di coscienza interno alla finzione ed un uso di capacità cognitive esterne al mondo rappresentato (es. l'uso delle interfacce o l'applicazione di nozioni apprese nella vita reale). Inoltre, come ad esempio dimostra Tetris, il coinvolgimento di un gioco non è in nessun modo legato ad uno spazio rappresentativo.

Negli ultimi tempi stiamo assistendo ad un proliferare di political games, videogiochi che riflettono, simulano situazioni politiche complesse, etc. Il rischio è che affrontando realtà complesse con scarse risorse, mezzi e tempi, questo tipo di prodotti finiscano con l'offire rappresentazioni semplificate della realtà. Oppure l'offrire soluzioni a buon mercato invece che modelli di ragionamento. Che cosa ne pensi?

Spesso molti political games hanno un valore simbolico. September 12th di Gonzalo Frasca lancia un messaggio opposto a quello semplificativo e cioè che la guerra non è un videogame e che non si possono perciò adottare soluzioni semplicistiche come un bombardamento per risolvere la questione del terrorismo. In Europa abbiamo avuto movimenti di opinione molto variegati perciò questa constatazione può sembrare banale ma per un americano che ha sentito unicamente la storiella dei buoni contro i cattivi il gioco risulta sicuramente molto provocatorio. Non bisogna mettere a confronto videogiochi come The Sims con videogiochi a breve respiro di programmatori indipendenti. Sarebbe come confrontare un saggio di economia politica con un volantino. Bisogna riconoscere che i videogames "seri" stanno ancora muovendo i primi passi e ci vorrà tempo e un grande impiego di risorse prima che si riesca ad argomentare discorsi articolati.

Molti videogiochi sociali sono mod di arcade, ai quali vengono cambiate delle parti, magari inserendo elementi presi dall'attualità. Questo però secondo voi non trasforma il videogioco in un vero strumento di critica. Che cosa serve per fare vera satira o informazione videoludica?

Facendo il make up dei giochi non si ottiene gran che perchè il programma con le sue logiche resta il medesimo. Noi nel nostro lavoro partiamo dalla premessa che tutte le meccaniche degli attuali videogiochi rispecchino alcuni aspetti dell'ideologia dominante. Per questo motivo crediamo che una critica sociale attraverso il mezzo videoludico si possa esprimere al meglio mettendo in luce, decostruendo o ribaltando queste meccaniche. Per esempio abbiamo ipotizzato che la tipica struttura arcade fatta
di livelli consecutivi con premio finale, fosse in qualche modo legata all'imperativo dell'arrampicamento sociale ed all'ideologia individualista e meritocratica del tardo capitalismo. Per contrapposizione, quando abbiamo voluto raccontare come la stragrande maggioranza dei lavoratori precari non abbia nessuna prospettiva di crescita ma viva in un eterno presente di sfruttamento, abbiamo ribaltato la strutturazione in livelli successivi, premi finali, etc. Tuboflex si basa sulla randomizzazione dei livelli, non ci sono promozioni sociali ma solo un'inesorabile accelerazione dei ritmi di lavoro fino all'espulsione del mercato. In questo modo speriamo di aver rivolto una critica ad uno stereotipo videoludico e, allo stesso tempo, denunciato la situazione ormai insostenibile che la nostra generazione si trova ad affrontare ogni giorno.

Una tesi che più volte avete ripetuto è che ogni videogioco incorpora una determinata ideologia e che essa deve venire dichiarata: Come avviene questa dichiarazione? E non rischia di fare da spartiacque, quelli che la condividono vi giocano e gli altri no?

La concezione liberale del giornalismo è basata sull'idea secondo cui i mezzi informazione dicano al cittadino quello che succede. Egli si fa un'opinione e decide per proprio conto il proprio orientamento, per esempio politico. Peccato soltanto che i mass media non sono una finestra sul mondo ma uno strumento esplicitamente finalizzato per orientare le masse popolari. Non esiste un'obbiettività nell'informazione. Per questo la pluralità dei punti di vista è un pilastro della democrazia.
Questo punto va esteso a tutta i prodotti culturali, anche quelli apparentemente più innocui come i videogiochi. Anch'essi promuovono determinati valori piuttosto che altri e ognuno secondo determinate regole. Ci auguriamo che rendendo esplicita la nostra faziosità, si demistifichi per riflesso la supposta neutralità degli altri videogiochi. Ci riferiamo in particolare alle simulazioni, su cui solitamente si discute se siano più o meno realistiche ma mai sulle idee che stanno alla base della loro progettazione. La fedeltà assoluta, ovvero la mappa 1:1 del territorio - è chiaramente impossibile, un modello è sempre una semplificazione del reale. La questione è quali aspetti sono considerati e quali trascurati in questo processo di semplificazione. L'orientamento ideologico di un videogame è da ricercare soprattutto in queste scelte di design che costituiscono il gameplay, le regole di interazione con il giocatore.

Una tendenza in forte crescita è quella della resistenza videoludica, cioè l'azione di protesta e controinformazione interna ai mondi virtuali. Anche Molleindustria si è cimentata con questo genere. Qual'è lo scopo della vostra NetParade?

Innanzitutto essa è avvenuta in uno spazio pubblico virtuale. Per l'esattezza un sito creato ad hoc. Quindi è differente dal sabotaggio dentro al mmorpg. Poi nella Netparade il discorso era quello dell'autorappresentazione, per il resto era poco più che un oggetto di marketing politico virale. Si può dire che essa ha in qualche modo creato un piccolo spazio pubblico, ma alla fine le persone che hanno "manifestato virtualmente" erano per la maggior parte contigue alle aree di movimento coinvolte nel mayday. Se si vuole raggiungere le persone che non stanno già dalla tua parte bisogna intervenire sugli spazi pubblici della produzione e del consumo. Questo tanto nel mondo reale che nel cyberspazio, altrimenti è solo un atto autoreferenziale.
Qualcosa di questo tipo è stato fatto in passato con i netstrike, una pratica inventata da un gruppo italiano che si è rapidamente diffusa in tutto il mondo. Il netstrike aveva un forte valore simbolico - gli autori hanno sempre sostenuto che l'organizzazione, la campagna di lancio fosse la cosa più importante - ma oltre a questo tendeva ad un obbiettivo concreto - il rallentamento o caduta di un sito. Ciò è comparabile a quello che nella realtà è un picchetto o un corteo che blocca le strade.
In questi anni si sono creati nuove tipologie di spazi sociali virtuali, quelli numericamente più rilevanti sono i MMORG, i multiplayer online di massa. Visto il preoccupante declino della socialità "reale" e lo spostamento del baricentro sociale dagli spazi pubblici verso spazi privati (dalla piazza al supermercato), non ci sorprende che si cominci a fare politica in questi ambienti virtuali. Ci sono già degli ottimi esempi, velvet-strike è forse il più famoso.

Il problema riguarda la reale efficacia di questi interventi. E soprattutto la contraddizione di contestare dall'interno spazi nei quali si è deciso consensualmente di entrare e abitare?

E' un punto importante. I mmorpg sono spazi privati in ogni singolo bit, che siano liberali come Second Life o dispotici come molti altri, se non rientri nella logica del proprietario viene buttato fuori come quando fai volantinaggio davanti ad un'ipermercato. Il punto è che non per questo bisogna rinunciare a considerarli come possibile terreno di scontro.
Credo comunque che la resistenza videoludica potrebbe venire realizzata anche in altri modi: va bene l'attraversamento conflittuale e magari piratesco di questi spazi virtuali, ma si potrebbero anche creare mmorpg alternativi (come per esempio sta facendo la comunità utopica di agoraxchange) ed anche fare un uso un po' più intelligente dei social network, cioè quelli comunità tipo friendster che usano lo strumento rete per produrre relazioni non mediate - questi strumenti generano relazioni che definirei centrifughe rispetto al cyberspazio in opposizione a quelle centripeta dei mondi virtuali.