Procreazione assistita: Embrioni in fuga

06/09/2005

Tre giorni ai referendum sulla procreazione assistita. Quando mio nipote, fra N anni, mi chiederà cosa successe nel 2005, quando chiamarono a votare per quello che lui, può darsi, avrà trovato scritto sui libri di storia, non gli racconterò com'è andata. Se la studi la storia. Ma gli racconterò che, per la prima volta in Italia, la «propaganda» pre-referendaria aveva seguito anche altre vie oltre quelle tradizionali.

«Embrioni in Fuga» è un videogioco in Flash sviluppato dalla Molleindustria. Per chi ne sa, ma non ditelo ad alta voce, è un «political game», un videogioco con un messaggio socio-politico. Nel puzzle-platform della Molleindustria, la scienziata Betty corre, salta a aziona leve come un Abe qualsiasi. Ma invece di portare in salvo dei Mudokon, Betty deve aprire la strada verso il laboratorio ad una fila di embrioni, impegnati in una corsa cieca come solo una cricca di Lemming. Davanti a sé troverà il burocrate, in grado di fiaccare le energie di qualsiasi ricercatore, e il prete, che un «Ora pro nobis» può bastare per far fuori processioni di embrioni. Qualcuno ha cercato di dirci qualcosa...

Tre giorni ai referendum. Il voto è segreto, il videogioco politico no. Al contrario. «Embrioni in Fuga» è da diffondere, ma prima da provare, da pensare, e se vi diverte tutto di guadagnato. Per conto mio, ho voluto sapere qual è lo stato attuale del «political game». E ho chiesto ai ragazzi della Molleindustria cos'è successo, cosa succede e cosa succederà...

D: Lo stato dei political-game. Si tratta ancora di una novelty per una ristretta comunità su Internet?

R: I political games non sono mai stati per una ristretta comunità. Certo, la loro diffusione è molto limitata e ne vengono prodotti ancora pochi, ma non dobbiamo pensare che ci sia una sorta di sottocultura ben definita che li apprezza e ci gioca. Ogni giorno ci stupiamo di come si riescano a raggiungere gli internauti più disparati. Basta fare una rapida ricerca in Google per vedere come più della metà dei link siano su siti o blog che non c'entrano nulla né con la politica né con i videogiochi.

D: Stimolare il pensiero critico. Ma c'è il rischio di uniformarsi all'industria dell'intrattenimento narcotizzante?

R: Il rischio di uniformarsi esiste, come esiste il rischio di fare prodotti troppo arditi che vengano compresi solo da pochi. Cerchiamo di muoverci fra questi due estremi a seconda del messaggio che vogliamo trasmettere. Comunque non ci stancheremo mai di dire che i contenuti politici o i riferimenti a tematiche sociali non sono sufficienti per fare un gioco efficace. Bisognerebbe considerare anche il piano linguistico, non adagiarsi sugli schemi cristallizzati dei giochi commerciali ma piuttosto deturnare, ribaltare ironicamente gli stili e stereotipi più comuni. Unire la critica sociale attraverso i videogiochi ad una critica ai videogiochi in quanto prodotti culturali (di questa cultura).

D: Quali sono i meccanismi che permettono ad un political-game di diventare spunto di riflessione e di non venire inghiottito dal consumo superficiale?

R: Il problema del consumo superficiale ce lo siamo posti. In rete circola una tale quantità di contenuti che è difficile lasciare il segno. Tutto viene fruito di corsa, i testi vengono letti una riga sì ed una no. È per questo motivo che Embrioni in Fuga è un gioco abbastanza complesso, richiede diversi minuti per essere compreso e terminato. Ci auguriamo che in questo modo rimanga più impresso rispetto a giochi che si esauriscono con una dozzina di click.

D: Il futuro della Molleindustria. Non i progetti, ma le speranze. C'è ancora fiducia nel concetto e nell'efficacia dei political-game?

R: La nostra speranza è far capire che i political games non esistono perchè sono videogiochi come tutti gli altri. Ci auspichiamo che si inizi a riconoscere la cultura di massa come un terreno di confronto/scontro politico e culturale. Questo non accade: abbiamo avuto molti riscontri da parte del "pubblico", da alcuni settori delle arti digitali e dalla critica videoludica più raffinata, ma molti di meno da parte delle aree a cui, in teoria, ci rivolgiamo. È significativo il fatto che sia La Stampa ad interessarsi e non il Manifesto, che possiamo considerare il nostro giornale di riferimento. Nella sinistra e nei movimenti (o in ciò che ne rimane) è ancora molto radicata l'idea che la politica sia qualcosa di estraneo alla quotidianità.
Sulle potenzialità persuasive dei videogiochi abbiamo ancora molta fiducia, per il semplice fatto che siamo ancora agli inizi. Non dobbiamo però pensare che i videogiochi o i media interattivi siano destinati a stravolgere il mondo della comunicazione politica. La conquista del consenso si basa principalmente sulla capacità di produrre narrazioni e miti ed abbiamo la netta impressione che musica, cinema e televisione siano più efficaci in questo senso. Eppure la testualità interattiva può fornire qualcosa di diverso, può dare degli strumenti per comprendere la complessità che ci circonda. È in questa capacità di creare modelli semplificati della realtà che riponiamo le maggiori speranze.