Quando il gioco si fa molle... i videogame diventano politici

10/10/2004

di Valentina Petrini

Niente cattivi da ammazzare o tornei da vincere per forza. Solo meccanismi di gioco su temi di attualità in cui l’unico a vincere è il pensiero critico. Si chiama Molleindustria è un collettivo di giovani italiani, collegati via internet, che creano videogiochi politichi su tematiche di attualità. Loro li chiamano «videogames introvertenti», giochi che costringono chi si cimenta a riflettere su quello che sta facendo, a non estraniarsi per forza dal contesto in cui vive. Per alcuni questa tendenza a ripensare al ruolo sociale del videogioco nasce con gli attentati dell’11 settembre. Paolo, uno di loro, fa mente locale e poi risponde: «Per noi, forse, un po’ prima: diciamo con le contestazioni di Seattle». Da sabato 16 ottobre, Tuboflex, una delle loro creazioni sarà esposta a Londra all’interno della mostra Videogames with an agenda, a latere della presentazione del documentario di Joel Bakan, con interventi di Michael Moore e Noam Chomsky, dal titolo The Corporation (film e libro escono in Italia distribuiti dalla Fandango).

Per capire meglio di cosa stiamo parlando, provate a digitare molleindustria.it e a cliccare su uno dei videogames «introvertenti» che si trovano sull’home page. Giocate per esempio a «Tuboflex, la flessibilità attraverso un tubo». Start e comincia il gioco: Anno 2010. Il bisogno di mobilità della forza lavoro è cresciuto a dismisura rispetto ai primi anni del millennio. La Tuboflex, la multinazionale del lavoro in affitto, ha creato un complesso sistema di tubature che permettono di dislocare in tempo reale le risorse umane a seconda della domanda. Impersonando un dipendente Tuboflex, dovrai cercare di sopravvivere in questo dinamico mercato del lavoro. Il dipendente Tuboflex dovrà riuscire a sopravvivere alle mille cose che gli verranno chieste di fare. E mentre risponde al telefono e contemporaneamente scrive al computer, un tubo lo risucchia dal suo posto e lo catapulta a vendere panini in un fast food. Mentre vende panini, un altro tubo lo ingoia e lo porta a scaricare pacchi per una ditta. Mentre scarica pacchi da un camion, un tubo lo risucchia ancora una volta e l’omino finisce inesorabilmente per strada, con il suo cane randagio a suonare la fisarmonica. «Se provate a giocare più volte, la sorte del dipendente tuboflex non è sempre la stessa perchè i nostri giochi non hanno livelli standard da superare e perchè soprattutto non c’è niente da vincere - commenta Paolo -. Se Tuboflex vincesse è come se facessimo trionfare la precarietà e comprenderete che sarebbe un controsenso». Tuboflex ti invita a riflettere su quello che stai facendo, su quello che stai subendo nel caso del lavoratore precario.

Ma è davvero possibile contestare il sistema con un videogioco? Si può parlare di diritti, lavoro e flessibilità in un videogames? «Questo è esattamente quello che fa Molleindustria - ci spiega Matteo Bittanti curatore di una ricerca sui Videogames d’Autore insieme a Gianni Canova finanziata dalla Libera Università di Lingue & Comunicazione di Milano -. Loro rappresentano il tentativo di conciliare gioco e politica, sovvertendo il luogo comune che associa il ludus al disimpegno. Il videogioco esprime la postmodernità come il cinema aveva espresso la modernità: è il medium del Ventunesimo secolo. L’operazione di Molleindustria è geniale. Una nuova generazione di artisti-attivisti sta riscrivendo le regole del gioco, usando una forma di intrattenimento per far pensare».

Se pensiamo al periodo in cui nascono i videogiochi (quando le tecniche di marketing si erano già ampiamente sviluppate) e alla logica che questi racchiudono in sé (quella dell’intrattenimento ludico), è impossibile credere che giocando a fare la guerra o a calcio si possa comunicare qualcosa. Accade, però, che un giorno navigando su internet, incontri un sito in cui qualcuno ti propone un gioco sopra le righe. La molleindustria.it nasce così, da un «collettivo» di persone, flessibili e precarie, che si incontrano per caso e cominciano ad interrogarsi su quale potrebbe essere il modo per far capire alla gente di essere parte di un «meccanismo mostruoso». Parte di una catena di montaggio al servizio solo della produzione, in un’epoca in cui tutto ciò che accade o viene creato è su scala globale. E non solo le merci, ma soprattutto le idee.
«Abbiamo pensato che per far riflettere la gente - ci racconta Paolo, da Milano, che come tutti i seguaci di Luther Blisset non ama dar peso all’identità personale - forse occorreva rappresentare questo meccanismo mostruoso». Il nome stesso del collettivo e del sito nasce dalla domanda: dove siamo? Nella molleindustria, appunto, cioè in questa catena di montaggio globale dove si vede un omino incastrato in un ingranaggio che si muove a tempo come Charlie Chaplin. Ma mentre lavora, nel suo cervello un ago gli inietta quello che deve pensare, come nei libri di Huxley.

Due giorni dopo il sequestro dei server di Indymedia (l’agenzia di informazione indipendente più grande della rete) il collettivo di Molleindustria crea un giochino: Enduring Indymedia. «Sinceramente non sapevamo se fosse il caso di aspettare per saperne di più - spiega ancora Paolo - poi però, quando abbiamo capito che forse non avremmo mai saputo di più, è nato il gioco». Sono famosi nella Rete e tra gli esperti del settore. A Londra, sono già conosciuti e stimati. Ma in Italia sono pressocché sconosciuti. Forse perché molleindustria.it non è commerciabile come videogioco. «In quanto operatori del settore, la nostra - chiarisce Paolo - è anche una critica ai videogames stessi, per come sono. E un’idea per il ruolo che invece potrebbero avere: quello di espressione di idee e non solo uno sterile ticchettio di tasti».